Molta gente si riunì intorno all’entrata della scuola di Velletri durante una piovosa giornata di novembre. La maggior parte dei presenti venne solo perché doveva, tranne quattro persone: un ragazzo e una ragazza, sugli 11 anni, e una coppia di adulti, evidentemente sposati da molto tempo. Quei due ragazzini, palesemente parenti, non prestarono attenzione alla “lezione di storia” spiegata da una delle insegnanti nel cortile. Osservarono con molta cura, però, la targa presente all’ingresso dell’Istituto. Un bel pezzo spesso si ferro d’oro luccicante con incise sopra le lettere del loro cognome in nero abbastanza leggibile.
I cugini si guardarono a vicenda, sorpresi, e dissero l’uno all’altra:
– “Wow…” – “Eh già, siamo così importanti …”-.
Passarono altri dieci o quindici minuti, quando ottenne la parola la nonna dei due giovani :
– “ Era settembre del 1938 a Roma, i 4 figli del capo famiglia, Vittorio, erano così eccitati di ricominciare la scuola, specialmente il più piccolo…
– “Papà! Papà! Hai visto la mia nuova bici rossa? Ti piace?”
– “Tesoro è bellissima, falla vedere a tutti i tuoi amici domani”
– “Senz’altro, buonanotte”.-
Erano le 23.15 del giorno seguente. Vittorio tornò esausto dal lavoro. Sorprese il più piccolo dei suoi figli piangere in camera:
– “Perché piangi amore di papà?”
– “Un ragazzino più grande ha preso in giro la mia bici rossa.
– “ E perché mai?
– “Dice che è troppo rossa e per dispetto ci ha disegnato un simbolo strano nero.”
Il figlio fece vedere una sua riproduzione del simbolo su un pezzo di carta strappato. Il padre rabbrividì. Sapeva di che cosa si trattasse, e sapeva anche di che pasta era fatto il bambino, era impossibile che un ragazzino così piccolo sapesse che cos’era quell’immagine: era una svastica; però non era tanto sorpreso alla fine, ormai quasi tutta l’Italia aveva aderito al regime.
Nei mesi se successivi il numero delle immagini raddoppiò a dismisura, l’introduzione della stella gialla sopra i vestiti dei “non ariani” portò molti inconvenienti nella famiglia di Vittorio. L’uomo di casa venne licenziato, i bambini espulsi dalla scuola.
Una sera fredda di dicembre tutte le famiglie ebree di Roma stavano festeggiando la seconda sera di Channukkà, quando alla porta bussò una strana signora. Tra le cose che indossava, le uniche in buono stato erano un cappotto viola scuro e un paio di scarpe basse. Vittorio non la fece entrare, era chiaramente instabile, economicamente e mentalmente. La strana signora bussò a tutte le case che conosceva per avvisarli che qualcosa di brutto stava per accadere :
– “Stanno arrivando! I tedeschi stanno arrivando! Signore metta in salvo la sua famiglia, se ne vada!”
Nessuno osava crederle.
Il giorno dopo, il capo famiglia ricevette una lettera da un suo vecchio amico che lavorava ancora all’amministrazione della comunità ebraica di Roma. La lettera diceva, sostanzialmente, di andarsene da Roma e mettere in salvo tutti i suoi cari. Strano, pensò, le stesse parole della signora della sera prima.
Senza alcuna esitazione, allora, prese tutta la sua famiglia, anche la bici rossa, che era stata ridipinta di celeste coprendo il simbolo nero; si trasferirono a Bologna, in fretta e furia.
Con tutte queste corse la moglie, Emma, si rese conto di aver lasciato alcuni effetti personali nella casa di Roma.
Era il 1943, Emma, con i quattro figli al seguito, tornò a Roma, dopo che ricevette un’altra lettera dall’amministrazione. Disse che era tutto tranquillo a Roma, i tedeschi non si facevano sentire da giorni.
Entrati nel loro vecchio palazzo, il figlio piccolo, ormai cresciutello, fece del rumore minimo, ma non abbastanza da sfuggire alle orecchie delle guardie tedesche nascoste all’interno dell’edificio. Li presero, uno ad uno, senza pietà.
Vittorio Zarfati, mio padre, non rivide più né la moglie né i figli.
“Tornato a Roma, finita la guerra, si risposò con mia madre ed ebbe due figli, me e mio fratello Roberto. E ora io, che sono fiera di considerarmi sua figlia, ho quattro fantastici nipoti: Vittoria, Edoardo, Flaminia ed Emma, tutti fieri di portare il cognome Zarfati”. Tutti applaudirono. La nonna scese dal palco e andò incontro ai nipoti :
– “Sei stata spettacolare, nonna!”
– “Io mi ricordo quando il tuo bisnonno mi raccontò questa storia. A casa eravamo io e lui soli. Finito il tutto io ero lì che piangevo come una fontana. Lui mi disse di non dimenticare mai le nostre origini e di tramandare la storia della sua famiglia e di quello che è stato. Me lo fece promettere . E io mantenni.”-
I quattro componenti della famiglia Zarfati presenti all’evento guardarono la targa un’ultima volta, poi salirono sul treno di ritorno, pronti per trasmettere al prossimo la loro tragica, ma significativa storia.
Vittoria Zarfati (I liceo B)