Una gita scolastica come tante, insieme ai compagni di classe, viene sconvolta da un misterioso delitto. Uno dei bambini si ritrova sciaguratamente sulla scena: che cosa è successo? È la Ravenna grigia e fumosa di Giorgio Catucci (I media A) a fare da sfondo a questo giallo, scritto in uno stile diaristico elegante e carico di suspense.
Ultimo giorno a Ravenna, mi accorgevo di quanto fosse importante la religione nei monumenti che stavo visitando in quella gita scolastica di fine anno. Il mare era molto bello mentre mi allontanavo dai miei amici che ridevano e scherzavano sulla spiaggia. Ad un tratto qualcosa attirò la mia attenzione in questo paesaggio invernale: tutte le cabine che d’estate servono ai bagnanti come spogliatoi erano chiuse, tranne una.
Mi sono avvicinato e ho visto il corpo di un ragazzo vestito con una strana maschera, disteso per terra. Il vestito era marrone e finiva con una coda da sirena di colore diverso, un verde sporco. La maschera che gli copriva il viso raffigurava un mostro marino con otto occhi, come i ragni.
In un primo momento pensai che stesse dormendo, ma quando mi avvicinai per vedere meglio, mi accorsi che il pavimento di legno della cabina era tutto sporco di sangue. Rimasi pietrificato per diversi secondi guardando il corpo senza vita di quel povero ragazzo. A fatica, e dopo diversi minuti, riuscii a chiamare il professore che ci accompagnava.
Circa un’ora dopo, il luogo era già stato tutto transennato e la polizia faceva fatica a trattenere i curiosi. Il commissario, dopo aver parlato con il professore, mi chiese di rimanere a disposizione, essendo stato il primo a scoprire il cadavere. Ero seduto poco distante su una barca e osservavo tutto quello che succedeva. Mi parve molto strano il comportamento di un poliziotto in borghese che, senza farsi notare, cancellava diverse impronte di scarpe rimaste imprigionate nella sabbia mista a sangue di quel ragazzo.
Questa cosa mi parve assurda, di solito si aspetta la scientifica e non si tocca nulla sul luogo del delitto, tantomeno si cancellano impronte che potrebbero essere utili per scoprire l’assassino.
Non feci in tempo a distogliere lo sguardo che i miei occhi incrociarono i suoi e, mentre mi fissava, la sua mano toccò la pistola che aveva al fianco e, con fare minaccioso, senza essere visto dai suoi colleghi, mi intimò di fare silenzio. Ero molto spaventato e un terrore sottile si impadronì dei miei pensieri. Tornai in albergo agitato e in ansia senza dire nulla a nessuno dell’accaduto.
La sera dopo, prima di tornare a Roma, tutta la scolaresca fu invitata in un famoso ristorante di Ravenna. Dopo cena, mentre mi accingevo ad andare in bagno, fui spintonato in un angolo appartato della sala. Era il poliziotto in compagnia di una ragazza.
“Hai capito che devi stare zitto e dimenticare quello che hai visto, altrimenti ti potrebbe succedere qualcosa di brutto anche a Roma?”.
Questo mi disse con fare minaccioso mentre la sua ragazza stava zitta in disparte.
“Posso stare zitto, ma quanto sei disposto a pagare?”, risposi senza pensarci. Lo stavo ricattando, non credevo alle mie orecchie, quella frase mi venne spontanea come se stessi recitando in un film.
Il poliziotto rimase sorpreso e cambiò subito atteggiamento e da minaccioso divenne quasi gentile.
“Bravo, ne possiamo parlare, mi piacciono i ragazzi che hanno iniziativa, ma non adesso e non qui. Vediamoci tra un’ora nel magazzino della cucina, ci saremo solo noi e ci metteremo d’accordo”.
Era quasi mezzanotte e quasi tutti erano andati a dormire nelle loro stanze. Senza fare rumore mi incamminai verso il magazzino. Il poliziotto e la ragazza erano già lì che mi aspettavano.
“Ci piaci, hai iniziativa e coraggio, magari potremmo avere bisogno di te a Roma. Ma dimmi, secondo te, perché stavo cancellando le impronte?”.
Prima di rispondere notai che la sua ragazza era agitata e impaurita, riusciva a stento a trattenere il tremore delle mani. Pensai che quello era l’ultimo posto al mondo dove volesse stare. Indossava ancora le scarpe con uno strano tacco fatto a ferro di cavallo, la stessa forma delle impronte che avevo notato accanto al corpo del ragazzo e che il suo compagno aveva cancellato furtivamente.
“Io credo che sei stato tu o la tua fidanzata ad uccidere quel povero ragazzo. Ho saputo da un cameriere dell’albergo che la vittima era il bagnino dello stabilimento ed che era molto bello. Il vestito che indossava mi ha fatto pensare ad una festa mascherata in spiaggia alla quale, molto probabilmente, avete partecipato”.
A queste parole smise di sorridere e la ragazza mi sembrò ancora più impaurita. Continuai: “Forse durante la festa ha corteggiato la tua ragazza e tu sembri un tipo molto geloso. Lo avrai chiamato in disparte per chiarire, avete litigato e nella rabbia lo hai colpito con il remo della barca ormeggiata vicino alla cabina”.
Era diventato pallido e mi fissava incredulo. Poi fece un lungo sospiro e mi rispose:
“Ma bravo il nostro studentello, è andata proprio così. Peccato che questo racconto di fantasia rimarrà qui tra noi tre in questo magazzino, perché non potrai mai dimostrarlo”.
Trenta secondi dopo era già ammanettato. Il commissario era stato bravo e i suoi uomini tempestivi ad irrompere nel magazzino. Lo portarono via con la sua ragazza che piangeva disperata.
Siamo di ritorno a Roma e nel pullman sono seduto accanto al professore. Mi sento un po’ eroe e sono ancora meravigliato del mio comportamento.
Ripercorro mentalmente tutte le scene. La sera prima, quando ho scoperto il cadavere, ho fatto diverse fotografie con il mio cellulare. Foto che ho mostrato al professore e al commissario. Ma la cosa che più mi ha impressionato è successa mentre stavo seduto sulla barca, aspettando che il commissario mi chiamasse: ho notato che un remo era ancora sporco di sangue.
Ero molto impaurito quando il commissario mi ha chiesto di fare da esca, perché avevano già dei sospetti. Posizionarono dei microfoni nel magazzino. Accettai, ma vi assicuro che ero terrorizzato!
Siamo sul Raccordo anulare, tra pochi chilometri raggiungeremo Roma e questa gita sarà finalmente finita.
Porterò con me, oltre ai sorrisi dei miei amici, anche il ricordo di questa brutta storia.
di Giorgio Catucci, I media A