Nel racconto di Luca Varsalona, terza media A, il piacere della scoperta si annida tra le meraviglie del mare: l’esplosione di colori, odori e biodiversità marine che riempie l’avventura di quattro fratelli nasconde in realtà segreti ed emozioni talmente forti e coinvolgenti da… sembrare di vivere un sogno!
Un giorno Milan, secondo di quattro figli, nato e cresciuto a FK254, nel paese TNL197, nella galassia di DJKFTL1497/FK, andò, come era solito fare, con i suoi fratelli al mare, dove la sua famiglia aveva noleggiato l’ombrellone 47.
Milan, il primogenito Zoran e i gemelli Danica e Vuq attraversarono la strada e scesero in spiaggia.
Zoran, di quattordici anni, era incaricato, come di consueto, di mettere la crema sulla schiena dei fratelli e svolse il compito in modo esemplare.
I quattro avevano passioni diverse. Zoran adorava nuotare e fare immersioni, mentre Milan aveva un immenso amore per la pesca e conosceva tutte le specie ittiche del luogo natio. I gemelli, invece, erano due opposti: Vuq aveva una forte passione per il calcio, era polemico ed attaccabrighe; Danica era una ragazzina pacata e adorava leggere.
Quel giorno, mentre Milan prendeva cozze, granchietti e piccoli pesciolini da utilizzare come esche, si imbatté in un’insenatura mai vista prima. Il desiderio di entrare fu subito fortissimo, ma il foro si trovava ad almeno due metri sotto il livello del mare. Il ragazzo non si diede per vinto e, da vero pescatore quale era, tirò fuori la sua torcetta subacquea e illuminò il buco. Capì immediatamente che si addentrava molto, in quanto non se ne vedeva il fondo. Una stranissima caratteristica era che in quel punto le correnti cessavano.
Il giovane tracciò fuori dall’acqua un segno perpendicolare al foro, corse fuori e, dopo aver preso la sua maschera, mentre dava le maschere anche ai fratelli, disse: «Ragazzi, seguitemi. Ho fatto una scoperta sensazionale e, per dirlo io che si tratta di una cosa sui generis, io che conosco ogni cosa sotto la superficie di questo mare, vuol dire che è imperdibile».
Al che Vuq ribatté: «Che cosa sarà? Una specie di granchio o qualche stupidaggine del genere? Prima dicci cos’è e poi forse verrò».
«Ti fidi di me? Dovresti, perché ti voglio mostrare una cosa sorprendente e ti giuro che non è un essere vivente».
«Ora si comincia a ragionare…», esclamò Vuq.
«Allora, venite o no?».
I quattro corsero fino a dove toccavano, poi seguirono Milan, che ricordava per filo e per segno la posizione dell’apertura sottomarina e dunque vi condusse facilmente i fratelli.
Dopo avere sputato il boccaglio, cominciarono a discorrere sull’entrata e sulla persona che per prima avrebbe dovuto accedere al foro. Mentre Zoran, Danica e Vuq discutevano, Milan si immerse per escogitare il modo per penetrare nella cavità: con poco ossigeno fece delle prove e si rese conto che l’unico in grado di entrare era Zoran grazie alle sue grandi abilità natatorie. Milan spiegò dunque ai fratelli cosa aveva fatto.
«Ragazzi, ragazzi. Ehi, ascoltatemi!» esclamò.
«Che vuoi?» disse Vuq.
«Vuq, innanzitutto rilassati. Mentre voi chiacchieravate, ho fatto parecchie immersioni ed ho constatato che solo Zoran può entrare e guardarsi intorno senza esaurire l’ossigeno».
«Te lo scordi proprio, io non scendo», disse Zoran contrariato.
«Zoran, immagina se lì sotto ci sono cose belle e preziose! Nessuno ha mai trovato il foro prima di noi. Dai… dobbiamo entrarci. Se non vuoi, ci vado io. Non posso certo obbligarti…».
Zoran disse: «Prendi un bel respiro e scendi con me!».
«Non possiamo: in due non ci passeremo mai. Il buco è largo circa mezzo metro e non possiamo andarci in fila indiana, perché, se a quello davanti succede qualcosa, deve potersi girare ed uscire al più presto».
«Hai ragione. Vado io, mi guardo attorno, mi giro, esco e vi dico se merita o no una discesa», affermò Zoran risoluto.
«Va benissimo per me. Grazie, fratellone!», disse felice Milan.
Zoran scese ed entrò nella fessura circolare. Prima di entrare, esitò e riemerse per prendere la torcia di Milan. Anche se gli incuteva timore, guardò il fondo ricoperto da un manto di verde poseidonia che seguiva l’orografia del fondale. In mezzo a questa pianta marina si scorgevano delle piccole murene maculate e striate, tutte raggomitolate su loro stesse o rifugiate in piccole cavità della roccia.
Il primogenito della famiglia prese coraggio ed andò in esplorazione: entrò nella cavità sottomarina e vi scoprì un mondo strabiliante. All’interno del foro si era formata una bolla d’aria, quindi si poteva riemergere e respirare.
Zoran uscì frettolosamente, dimenticando per l’entusiasmo che, quando ci si immerge, la fretta può essere fatale.
I fratelli rimasero estasiati quando udirono le sue parole. Si immersero tutti ed entrarono in quella specie di grotta. Varcando il pertugio, videro una sorta di spiaggia: l’acqua era limpida e vi era una biodiversità marina impressionante, con specie di pesci provenienti da tutto il mondo.
Tolsero maschera e boccaglio e si stesero sulla spiaggia formata da grandi ciottoli bianchi con venature marroncine, tutti uguali tra loro. Vuq, girandosi, vide un’incisione e lesse ad alta voce: «Se leggi questa scritta, vuol dire che sei il prescelto e che sei una persona impavida».
Il ragazzo provò a decifrare il significato della frase, ma senza successo.
«È una citazione di un libro che ho letto, ma di cui non ricordo il titolo», intervenne Danica e soggiunse: «Vuol dire che per penetrare in questo luogo incantato si deve avere coraggio, perché non è da tutti affrontare il mare».
I due fratelli maggiori annuirono.
Milan si voltò e vide un altro tunnel, che però saliva ed era ancora più stretto. Vi entrò e disse: «Seguitemi, vedo uno strano bagliore».
I ragazzi lo seguirono e si accorsero che alla fine della galleria vi era un insieme di formazioni geologiche come quelle presenti nelle famose grotte di Frasassi e Postumia, solo che nelle stalattiti e nelle stalagmiti sembrava che fossero state applicate delle aperture per renderle come dei portaoggetti ed in effetti vi erano state ricavate delle mensole. Erano collocate ordinatamente in base a ciò che dovevano contenere. Sulle mensole erano posizionate tantissime categorie di oggetti. Avvicinandosi si poteva leggere il nome inciso del proprietario di ogni oggetto.
I ragazzi pensarono dunque di trovarsi in un luogo nel quale le persone custodivano le proprie cose. Osservarono anche che accanto al nome del proprietario si leggeva il nome di un sentimento.
Vagando per i lunghi corridoi, si imbatterono in colonne su cui erano scritti i loro nomi e videro oggetti appartenenti a loro sparpagliati in ogni categoria. Erano tutti stati smarriti: di alcuni ricordavano dove e quando li avevano persi, mentre di altri non ne ricordavano nemmeno l’esistenza.
Videro tablet e telefonini nuovi e rotti, accanto ai quali si reggevano le parole tristezza, disperazione, rabbia, disappunto.
Videro borsette e vestiti sgualciti e stracciati per ragazze e vestiti e borse nuovi, accanto ai quali si leggevano le medesime parole.
Videro poi attrezzature e abbigliamento sportivi nuovi e usati, accanto ai quali continuavano a leggere sempre le stesse parole.
Milan, Vuq, Danica e Zoran compresero subito che si trattava di oggetti appartenenti a ragazzi come loro, spesso incuranti del valore delle cose che hanno.
I quattro fratelli si chiesero come mai ci fossero quelle parole accanto agli oggetti e compresero che le cose materiali che tanto amano i ragazzi di oggi non danno vera felicità, perché sono soltanto oggetti incapaci di trasmettere emozioni autentiche.
Capirono che la gioventù di oggi focalizza molto l’attenzione su dispositivi elettronici e su oggetti di moda, a tal punto che attende ansiosamente ogni novità legata a questi mondi e vive solo per avere questi oggetti materiali. I ragazzi sono così presi dalle mode che talvolta dimenticano i valori importanti della vita quali l’amicizia, l’amore, il rispetto reciproco, il dialogo ed il confronto.
Mentre vagavano senza meta fra i corridoi, Milan pensò a quante persone avevano provato sentimenti ed emozioni come lo sconforto, la tristezza ed il dispiacere a causa di questi oggetti. Rifletté anche sull’importanza di prendersi cura delle proprie cose e soprattutto sull’influenza delle mode sulle scelte di vita delle persone, visibili anche dagli acquisti di queste ultime.
Camminando nel reparto inerente ai libri, area da lei prediletta, Danica abbassò lo sguardo, perché aveva inciampato su una trave di legno che le aveva alzato l’unghia del piede e le aveva fatto uscire un pochino di sangue. Chiamò i fratelli, che accorsero.
«Come hai fatto a farti male?», chiese Vuq.
«Non mi sono fatta nulla! Non vi ho chiamato per questa cosa, ma per la botola, sciocco!».
«Ah, non avevo capito. Comunque, calmati! Non l’avevo vista!», ribatté lui.
«Scusa, ma non mi aspettavo di trovare una botola nel mezzo della grotta».
«Chi apre?», chiese Zoran.
«Apro io», rispose Milan prontamente.
«Ehi, fa’ attenzione. Apri ed indietreggia subito. Intesi?», disse Zoran saggiamente.
«Ok».
Il secondogenito esegui ciò che il fratello gli aveva chiesto e scoprirono con stupore, ma nello stesso tempo con piacere, che era tutto illuminato e che vi era un sistema di scaffalature come quello del resto della grotta. In quella appendice apparentemente piccola, vi erano tre macrosuddivisioni, indicate con incisioni a caratteri cubitali. Vi erano scritte le parole “amore”, “fantasia”, “pazienza” e “creatività”, ognuna scritta al contrario, cosicché si leggeva “EROMA”, “AISATNAF”, “AZNEIZAP”, “ÀTIVITAERC”.
I fratelli colsero immediatamente il senso delle iscrizioni e, scendendo con lo sguardo sino al pavimento, che, a differenza di quello della sala principale tipico di una grotta, era costituito da mattonelle variopinte, videro dei recipienti contenenti ciascuno una pillola, sotto i quali era inciso il nome di colui o colei che aveva perso l’amore, la creatività, la pazienza e la fantasia. Ognuna di queste pastiglie, benché avesse un colore differente dalle altre, era insapore. I fratelli videro con piacere che in nessuna sezione ne era presente una con il loro nome e cognome.
Dopo un po’ rientrarono nella prima parte della cavità ed uscirono in quanto, pur non avendo un orologio, si erano resi conto dell’ora molto avanzata.
Fecero il percorso a ritroso e al momento dell’emersione…
La mamma entrò in camera da letto e disse a Milan che doveva svegliarsi per non perdere l’autobus della scuola.
un racconto di Luca Maria Varsalona, 3ª media A