8 marzo 2020.
Lockdown in tutt’Italia. Chiusura delle scuole. Noi studenti, però, non riusciamo a gioirne. Si diffonde fra noi un senso di inquietudine, percepiamo che la situazione deve essere molto grave.
I settimana.
Percezione del bicchiere come mezzo pieno: niente più levatacce, per arrivare in orario a scuola, più tempo a disposizione per sport, musica, riposo, film e per improvvisare nuove ricette.
18 marzo:
sono dieci giorni che cantiamo dalle finestre, per incoraggiarci, facciamo flashmob, lasciamo candele accese dietro i vetri e ci scambiamo video sull’orgoglio di essere Italiani o sull’eroismo del nostro personale medico e paramedico. L’hastag #andratuttobene è recitato come un mantra ma pian piano si sono insinuati in noi l’ansia, il senso di frustrazione e in alcuni momenti anche la depressione. La percezione del tempo si è modificata: è poco che siamo reclusi in casa ma sembra che sia trascorsa una vita. Ci mancano gli amici, con cui ci relazioniamo solo in videochiamata e gli abbracci.
Comprendiamo cosa significhi essere privati delle proprie abitudini, della libertà e capiamo che riposo forzato non significa maggiore energia, ma si trasforma in inedia, che fiacca e fa sentire indeboliti. La tentazione di vivere in pigiama è sempre dietro l’angolo. Ci salva aver letto “Se questo è un uomo” di Primo Levi, in cui un rabbino esortava gli Ebrei di un lager, stremati dopo una giornata di duro lavoro, a lavarsi e riordinarsi, per conservare la loro dignità di uomini. Cominciamo ad apprezzare le cose più semplici, che prima davamo per scontate, come una passeggiata, o stare all’aria aperta. Abbiamo veramente capito quell’assunto della filosofia greca per cui il male è funzionale ad apprezzare di più il bene.
II settimana:
Arriva la doccia fredda: prendiamo coscienza della gravità del virus con i primi reportage televisivi girati dentro gli ospedali di Bergamo e Brescia, nelle trincee delle unità di terapia intensiva. Vedere persone, non necessariamente anziane, intubate e tenute prone, legate sui lettini, che lottano fra la vita e la morte e sentire che molti muoiono senza l’assistenza ed il conforto dei familiari, senza un funerale e osservare in silenzio le file di carri militari che portano via da Bergamo le bare, perché in quella città i forni crematori sono insufficienti rispetto al numero dei decessi, fa abbattere su di noi un dolore profondo, misto ad un senso di smarrimento.
26 marzo.
Su tante, tante persone in questo momento grava la cappa di un pesante senso di precarietà e la cosa forse più difficile da sopportare è che nessuno sa quanto durerà tutto questo. Papa Francesco prega, per invocare la fine della pandemia. Piazza San Pietro vuota, le macchine delle forze dell’ordine schierate, un silenzio assordante, interrotto solo dal suono delle autoambulanze. Fa freddo e piove forte. Il cielo sembra piangere le lacrime dell’intera umanità.
12 aprile.
Oggi è Pasqua. Il sacrificio di Gesù quest’anno ci sembra più vicino. Questa situazione ci ha messo in rapporto con problemi molto più grandi dei nostri e veramente gravi: non solo quelli di chi ha perso persone care, ma anche quelli della “bomba sociale” che può esplodere da un momento all’altro, perché tanta gente, che già arrivava a fatica fine mese o che lavorava “in nero”, ora ha perso il lavoro oppure non riceve i soldi della cassa integrazione e non sa come sfamarsi ed è disperata.
Senza trascurare i problemi di tante aziende che stanno rischiando il fallimento e di tanti settori (come il turismo, la ristorazione ecc.) che sono in ginocchio e che non si sa quando potranno ripartire. Cercando di dare un senso a tutto ciò, forse questa situazione rappresenta per noi la vera prova di maturità, perché si tratta di un’esperienza che indiscutibilmente ci ha fatto crescere, ci ha cambiati nel profondo.
Abbiamo imparato a dare una gerarchia diversa alle cose veramente importanti per noi, siamo maturati in quest’ultimo mese forse più che in tutti i nostri cinque anni di liceo, sicuramente mettendo a frutto anche tutti gli insegnamenti che abbiamo ricevuto. Forse noi dell’ultimo anno di liceo non rimetteremo più piede nelle nostre classi e non siederemo ancora nei nostri banchi, ma affronteremo la nostra maturità, che ormai si profila on line, da ragazzi veramente cresciuti. Speriamo solo che di tutto questo ci ricorderemo anche dopo, quando tutto sarò passato.
Perché di una cosa siamo convinti, che, come sempre, dopo la notte tornerà l’alba. E sarà bellissima, questa volta ancora più bella.
Elisa Sergio
(VA Liceo- Triennio)