UTOPIA, la città sospesa.
Sembrava una foresta come un’altra e all’interno era piena di alberi enormi; in particolare uno sembrava un albero come gli altri, invece, al suo interno si alzava una lunghissima scala a chiocciola che portava alla meravigliosa città sospesa. Tutti i rami delle cime sostenevano delle case, più grandi addirittura dei palazzi.
Scale, passerelle e ponti servivano da strade per unire gli edifici e i suoi abitanti andavano allegri e veloci come uccelli sempre in movimento. Ognuno tuttavia aveva decorato e costruito la sua casa con gusti personali. C’erano case piene di fiori, altre rese preziose da conchiglie, piume e sassi di tutti i colori, alcune avevano una serie infinita di torri, torrette, balconi e finestre. Durante il giorno regnava un’allegra confusione di persone affaccendate nei più diversi lavori e la confusione diventava caos quando i ragazzi uscivano dalle scuole.
Arrivata la notte, la confusione del giorno diventava una festa; quel popolo di persone buone e allegre aveva infatti due abitudini che lo distinguevano da tutti gli altri: il canto e il ballo. Così i canti delle mamme che addormentavano i figli si confondevano con le musiche dei giovani che ballavano sfrenati; non esisteva un paese più divertente di quello.
Da due settimane era tutto cambiato: le strade erano deserte, le finestre chiuse, i pochi passanti camminavano veloci e ansiosi, condotti solo dalla voglia di tornare presto a casa perché un nemico invisibile, a qualunque ora del giorno e della notte, poteva aggredirli e chiunque fosse uscito non poteva scommettere di ritornare a casa. La cosa peggiore era che questo nemico non si poteva riconoscere, era capace di assumere l’aspetto di chiunque e non avresti mai saputo con certezza se si nascondesse sotto la maschera di tuo padre, di tuo fratello, di tua nonna o della tua migliore amica.
Alba Vanghetti
III media B