Lettura & Poesie

Città invisibili : BABELE, la città delle parole.

Caterina Tacconelli |

BABELE, la città delle parole.

Giunto nella città di Babele mi sembrò una città come le altre: strade, parchi, edifici, semafori, anche qualche monumento antico. Ma, camminando tra le sue strade, non incontrai nessuno, come se le persone fossero misteriosamente scomparse.

E pensare che un giorno per questi vicoli, strade e piazze camminavano imperatori e re, dame e cavalieri, partigiani e fascisti. Poi, all’improvviso, tutto cambiò: alla gente fu proibito di uscire dalle case e così quelle strade rimasero deserte, nessuno le attraversò più, nessuno si ricordò come fossero  fatte.

Eppure loro, gli abitanti di Babele, privati della propria libertà, i che per sopravvivere potevano usare le parole, che assunsero un significato più profondo, vero, sacro. Le parole erano l’unico strumento che avevano gli abitanti per comunicare con il mondo esterno. Non più gesti, non più sguardi, ma solo parole. Prima pronunciate velocemente, poco importanti, dal contenuto perlopiù superficiale, le parole divennero invece indispensabili perché piene di significato e ricche di contenuto.

Le persone scrivevano lettere, si chiamavano tra di loro e questo le rendeva felici, anche solo temporaneamente. Pensavano che le parole fossero magiche, cosa probabile, ma sicuramente erano la loro unica salvezza.

Il mondo di quelle persone era là dentro, chiuso, limitato, troppo intimo. I soggiorni erano le loro piazze, i corridoi le loro strade, i bagni il loro mare e così via …

Un mondo di solitudine, di noia, da imparare a gestire, dove i sogni non erano più nei cassetti ma sulle finestre, anzi al di fuori delle finestre.

Molti abitanti volevano vedere quello che altri chiamavano “mare” e che loro descrivevano dicendo: “macchia di acqua blu”; molti altri erano incuriositi dalle montagne, che venivano descritte così: “ tetti di case di pietra e con una punta bianca”. Attraverso queste parole i genitori descrivevano ai propri figli il mondo al di fuori della loro casa e a loro volta i figli lo raccontavano ai figli.

Con l’avanzare delle generazioni e del tempo nessuno sapeva più cosa ci fosse lì fuori che loro non potessero vedere. Così nel tempo da trascorrere a casa, tempo in cui non sapevano cosa fare, le persone parlavano tra loro e il vocabolario si arricchì di termini e nacquero anche nuove lingue, quelle lingue che oggi arrivano direttamente al cuore ed emozionano.

Caterina Tacconelli

(III media B)